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Spiritualità e Preghiere

-2- LECTIO DIVINA

 Spiritualità e Preghiere - San Gregorio Magno
BRANI TRATTI DAL COMMENTO MORALE
A GIOBBE DI SAN GREGORIO MAGNO



1-Interiorità, spiritualità

Molto tempo fa, fratello amabilissimo, avendoti conosciuto a Costantinopoli, quando gli interessi della sede apostolica mi trattenevano in quella città in cui tu eri giunto a perorare la causa della fede dei Visigoti, a viva voce ti confidai tutto ciò che pesava sul mio animo. Troppo a lungo io differii la grazia della conversione, e anche dopo il desiderio ispiratomi dal cielo, preferii conservare l’abito secolare. Fin d’allora l’amore delle cose eterne (de aeternitatis amore) mi spingeva verso una scelta precisa, ma le mie radicate abitudini m’impedivano di cambiare maniera di vivere (exteriorem cultum). Benchè la mi intenzione ormai fosse quella di servire il mondo presente solo esteriormente, la sollecitudine per questo medesimo mondo a poco a poco fece crescere in me un’infinità di pensieri contrari al mio proposito e tali da irretirmi non più soltanto esteriormente, ma, ciò che era più grave, con la mente. Finchè, liberandomi finalmente di tutti questi impedimenti, guadagnai il porto del monastero, e avendo lasciati per sempre – come invano allora credetti – i pensieri del mondo, nudo, scampai al naufragio di questa vita. Ma come spesso capita quando si scatena la tempesta, che le onde strappino via una nave male ormeggiata anche dalla baia più sicura, così bruscamente, col pretesto dell’ordine ecclesiastico, mi ritrovai nell’alto mare degli affari temporali e soltanto allora, dopo averla perduta, scoprii la pace del monastero che non seppi difendere con sufficiente energia quando era il momento di tenerla stretta. Per indurmi ad accettare il ministero del santo altare si fece ricorso alla virtù di obbedienza ed io accettai nella convinzione di servir meglio la Chiesa; adesso però, se ciò non fosse colpevole, mi sottrarrei ad esso con la fuga. Più tardi, contro la mia volontà e nonostante la mia resistenza, mentre gi&agrve sentivo il peso del ministero dell’altare, mi è stato imposto anche il fardello della cura pastorale. Questo adesso lo sopporto tanto più faticosamente in quanto, non sentendomi all’altezza del compito, mi manca anche il respiro che viene dalla consolazione della fiducia. In questi tempi, poi, funestati da mali crescenti che annunciano ormai vicina la fine del mondo, noi, che ci si crede tutti intenti a coltivare l’interiorità e la spiritualità (interius misteriis deservire), siamo assorbiti dagli impegni esteriori. Per fortuna, allorchè io accedevo al ministero dell’altare (ministerium altaris), questo è avvenuto senza che me ne rendessi conto, per consentirmi, ricevendo il peso dell’ordine sacro, di montare più liberamente la guardia in un palazzo terrestre, dove appunto mi seguirono molti miei fratelli del monastero, a me legati da un vincolo di amore fraterno (germana vincti caritate). Ritengo che ciò sia avvenuto per divina disposizione, perchè, mediante il loro continuo esempio, io rimanessi fissato da un’ancora al lido tranquillo dell’orazione (ad orazioni placidum litus), allorchè venivo continuamente sballottato dagli affari del mondo. Nella comunità formata con loro, come nell’ansa di un porto ben sicuro, io mi rifugiavo lontano dalle agitazioni e distrazioni terrene; e sebbene quel servizio, strappandomi dal monastero con la spada del suo impegno, avesse estinto in me la vita pacifica d’un tempo, tuttavia in mezzo ai miei fratelli, grazie alla quotidiana lettura e meditazione della parola di Dio, ero animato dallo spirito di compunzione (inter eos tamen per studiosae lectionis alloquium, cotidianae me aspiratio compuntionis animabat)

S. Gregorio Magno, Commento Morale a Giobbe, I/1, Roma 1992, p 81-83





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è necessario che chi parla di Dio si preoccupi di rendere migliori quelli che lo ascoltano.

S. Gregorio Magno, Commento Morale a Giobbe, I/1, Roma 1992, p 85



3-Commentare la parola di Dio

Il commentatore della parola di Dio (sacri tractatoreloquii) deve comportarsi come un fiume. Un fiume, quando lungo il suo corso viene a trovarsi in valli profonde, subito vi si precipita con impeto e non rientra nel suo alveo se non dopo averle sufficientemente riempite. Proprio così deve comportarsi il commentatore della parola di Dio (divini verbi tractator): qualunque sia il tema che tratta, se lungo il suo cammino incontra una buona occasione di edificare, rivolga verso questa valle l’onda della sua parola e non rientri nell’alveo del suo discorso se non dopo essersi sufficientemente riversato nel campo dell’argomento sopraggiunto.

S. Gregorio Magno, Commento Morale a Giobbe, I/1, Roma 1992, p 85



4-Interpretare la Scrittura

L'impossibilità di conciliare tra loro certe espressioni letterali, c'invita a cercare in esse un senso diverso. è come se ci dicessero: quando vedete che nel nostro senso apparente noi perdiamo ogni significato, cercate dentro di noi un senso che risulti logico e coerente (quod ordinatum sibique congruens apud nos valeat intus inveniri)

S. Gregorio Magno, Commento Morale a Giobbe, I/1, Roma 1992, p 87



5-Sacra Scrittura non solo per gente colta

La parola di Dio (divinus semo), se da un lato impegna con i suoi misteri l gente colta, dall'altro riscalda con la sua immediatezza le anime semplici. Con la sua chiarezza offre nutrimento agli umili (parvulos), mentre con la sua profondità non finisce di stupire gli spiriti più elevati (servat in secreto unde mentes sublimium in admiratione suspendat). è come un fiume, direi, dalle acque basse profonde, dove un agnello puì muoversi liberamente e dove un elefante può nuotare

S. Gregorio Magno, Commento Morale a Giobbe, I/1, Roma 1992, pp 87-89



6-Essere umano e limite creaturale

Ogni uomo, proprio in quanto uomo, deve riconoscere il suo Creatore (suum intelligere debet auctorem), e sottomettersi alla sua volontà, tanto più quanto più attentamente considera il proprio niente. Purtroppo, noi sue creature, siamo stati molto trascurati nei confronti di Dio. Ci sono stati donati i comandamenti, e noi ci siamo rifiutati di obbedirvi; sono stati aggiunti gli esempi e noi non abbiamo voluto seguire gli esempi offerti a noi dagli uomini sottomessi alla Legge. Col pretesto che Dio ha parlato apertamente a uomini sottoposti alla Legge, non ci siamo sentiti legati a precetti che non sono stati indirizzati a noi personalmente.

S. Gregorio Magno, Commento Morale a Giobbe, I/1, Roma 1992, p 95



7-La sofferenza come epifania di santità

Giobbe, quest'uomo dotato di tante mirabili virtù, era noto a sè e a Dio; ma a noi sarebbe rimasto ignoto, se non fosse stato colpito e messo alla prova. Egli esercitava la sua virtù anche quando viveva tranquillo, ma la fama della sua virtù si diffuse solo allorchè fu scosso dalla sua sofferenza. Mentre viveva in pace, conservava dentro di sè ciò che egli era (quietus in se ipso quod erat continuit); quando fu scosso, fece arrivare a tutti il buon odore della sua fortezza. Come un profumo non si può sentire da lontano se non viene agitato e l'incenso non espande il suo aroma se non quando viene bruciato, così il profumo delle virtù dei santi non si espande se non in mezzo alle tribolazioni. Ecco perchè nel vangelo si dice: Se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà. Se un granellino di senapa non viene pestato non si può conoscere la forza delle sue proprietà finchè rimane intatto è dolce; ma se viene schiacciato, brucia e manifesta tutta l'asprezza che in esso rimaneva nascosta. Così ogni santo, finchè non viene colpito, appare spregevole e mediocre; ma se viene afferrato dalla macina della tribolazione, subito manifesta il suo ardore e il suo sapore; e tutto ciò che prima appariva in lui di nessun valore e debole si trasforma in fervore di virtù e tutto ciò che volutamente teneva celato in sè nel tempo della tranquillità, le tribolazioni, tormentandolo lo costringono a manifestarlo. Giustamente, quindi il Profeta dice: Il Signore invia di giorno la sua misericordia e di notte la fa apparire (Sal 41, 9) . Il Signore invia la sua misericordia di giorno, perchè è nella tranquillità (in tranquillo tempore) che si riconosce e si accoglie la misericordia; ma è durante la notte che essa appare chiaramente, perchè è un dono che si riceve nella tranquillità, ma si manifesta nella tribolazione (misericordia... in tranquillitate sumitur, tribulationibus manifestatur).

S. Gregorio Magno, Commento Morale a Giobbe, I/1, Roma 1992, pp 97-99



8-Riposare in Dio

Certamente non riusciamo a vedere Dio così come Egli vede Se stesso, e non riusciamo a riposare in Dio così come Egli riposa in SE stesso. La nostra visione e il nostro riposo sono simili, ma non identici alla visione e al riposo di Lui. L'ala della contemplazione (contemplationis penna), chiamiamola così, ci solleva impedendoci di ripiegarci in noi stesi e da noi veniamo innalzati a vedere Lui (ad illum erigimur intuendo) e, rapiti dall'intenzione del cuore e dalla dolcezza della contemplazione, andiamo in qualche modo da noi verso di Lui; e già questo nostro stesso andare è poco riposante, e tuttavia andare così è per noi il vero modo di riposare. è perfetto riposo perchè si vede Dio; e tuttavia non è paragonabile al suo riposo, perchè Egli non ha bisogno per riposare, di passare da Sè in un altro. Perciò è un riposo, per così dire, simile e dissimile, perchè il nostro riposo è un'imitazione del suo. Imitiamo l'Eterno, per essere anche noi beati ed eterni in eterno. E l'imitazione dell'eternità è per noi una grande eternità. Noi abbiamo sorte diversa da Lui che noi imitiamo, perchè vedendolo siamo partecipi di Lui, ed essendone partecipi lo imitiamo. Questa visione comincia ora mediante la fede, ma si perfezionerà allora nella visione, quando berremo alla sua stessa fonte la Sapienza coeterna a Dio, che adesso attingiamo come dalla corrente che ci è trasmessa dalla bocca dei predicatori.

S. Gregorio Magno, Commento Morale a Giobbe, I/2, Città Nuova 1994, p 729








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